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Glaucus atlanticus, ovvero: come essere piccoli, carini e pericolosi
di Diego Sala
“Ma i draghi esistono davvero?” Ecco una domanda alla quale mi è capitato di dover rispondere svariate volte. E non sempre chi la pone è un bambino, anzi. La risposta è meno banale di quanto ci si possa aspettare.
Certo, se intendiamo gli enormi rettili alati che sputano fuoco, o gli esseri serpentiformi e baffuti della tradizione cinese, si dovrebbe rispondere con un bel “No”. Ma qualche “drago” esiste davvero. Pensiamo solo al famoso “drago di Komodo” (Varanus komodoensis), il gigantesco varano delle remote isole dell'Indonesia le cui gesta predatorie si possono ammirare facilmente in tanti documentari, oppure al piccolo “drago volante” (Draco volans), una lucertola asiatica capace di planare da un albero all'altro grazie a strutture simili ad ali.
Il mio “drago” preferito, tra quelli realmente esistenti, è però una piccola creatura che potrebbe stare nel palmo della mano di un bambino e non supera i tre centimetri di lunghezza. Il suo nome scientifico è Glaucus atlanticus, ma nei paesi di lingua anglosassone è noto anche come “Blue dragon”. E, a tutti gli effetti, il draghetto in questione sembra proprio uscito da un cartone animato di ambientazione fantasy. Al contrario dei suoi illustri colleghi, il piccolo Glaucus non è un rettile, e a dirla tutta non è nemmeno un vertebrato: è un nudibranco, un mollusco imparentato con le lumache e privo di guscio, che vive negli oceani di tutto il mondo, solitamente in acque calde di superficie.
Il suo corpo è vivacemente colorato di un bel blu acceso e di azzurro nella regione ventrale, mentre il dorso ha riflessi argentei; quando però lo si vede nuotare in mezzo all'oceano, il nostro draghetto è capovolto, e quello che sembra il suo dorso è in realtà la sua “pancia”; questa strana colorazione è un esempio di contro-ombreggiatura, un modo di camuffarsi tipico di molti organismi marini e non solo.
Glaucus atlanticus viene sospinto dalle correnti marine sorretto da una bolla d'aria presente all'interno del corpo. E' un animale ermafrodita: un singolo individuo possiede gli organi riproduttivi sia maschili che femminili. Al termine dell'accoppiamento entrambi gli individui producono una moltitudine di uova, riunite in una sorta di nastro.
L'aspetto caratteristico di questo mollusco è dovuto alla presenza di larghe espansioni a ventaglio che ricordano delle ali, chiamate cerati (o cerata), grazie alle quali riesce a respirare, digerire e addirittura a difendersi: i cerati sono infatti in grado di assorbire le sostanze velenose rilasciate dai tentacoli delle meduse. Queste sostanze vengono poi rielaborate dal draghetto marino e rese ancor più urticanti: tra le stranezze di Glaucus atlanticus, infatti, c'è anche la capacità di concentrare il veleno e di renderlo più potente. Un vero chimico degli oceani! Occhio, quindi, a maneggiarlo: le tossine contenute nei cerati risultano ancor più dolorose di quelle delle meduse.
Questo simpatico animaletto, infine, è un predatore di tutto rispetto: le meduse a cui Glaucus sottrae il veleno sono in realtà il suo cibo! Tra le sue prede vi sono anche i bottoni blu (Porpita porpita), le barchette di San Pietro (Velella velella) e addirittura le gigantesche caravelle portoghesi (Physalia physalis), i cui lunghissimi tentacoli possono arrivare a cinquanta metri di lunghezza. La caravella portoghese possiede cellule esplosive (note come nematociti) particolarmente potenti, che contengono oltre dieci tipi di veleni diversi, per alcuni dei quali non è ancora stato trovato nessun rimedio e che causano all'uomo impressionanti ferite simili a frustate. Il draghetto, invece, ne è del tutto immune: anzi, sembra che Glaucus atlanticus scelga deliberatamente i nematociti più velenosi per poi immagazzinarli sulle punte dei cerati, simili a dita. Un vero buongustaio dei veleni, non c'è che dire. Per questo motivo Glaucus risulta praticamente privo di nemici naturali: i pesci, infatti, si guardano bene dal mangiare un arsenale chimico vivente!